“Bartleby lo scrivano” è il titolo di un bel libro che lessi qualche tempo
fa, saranno trascorsi una decina d’anni, e l’ho ritrovato, per puro caso,
qualche giorno fa quando decisi finalmente di andare a sistemare in
soffitta tutta quella cianfrusaglia che avevo accumulato nel corso degli
anni e che ormai non serviva più e che, cosa ancora più grave, aveva
appesantito di molto il solaio col serio rischio di far crollare tutto.
Un vecchio divano impolverato e ancora integro faceva bella mostra di sé, si
fa per dire, in un angolo in fondo alla parete, un divano in pelle finta che
assolveva ora ad un altro compito e cioè quello di custodire una pila di
quadri di scarso valore artistico tra i quali quel Teomondo Scrofalo che,
ricordo, lo avevamo appeso in sala da pranzo e nonostante tutto, a dispetto
della scarsa fantasia artistica dell’autore, metteva anche allegria con
quello strano personaggio, trasandato, vecchio e barbuto, raffigurato in
primo piano in evidente stato di ebbrezza e dinanzi ad un boccale di birra.
La mia mansarda o soffitta, che dir si voglia, non è poi molto
diversa dalle altre, uno spazio situato sotto il tetto e che
originariamente, cioè all’epoca della sua costruzione risalente ai primi
anni 50, era stato progettato come uno spazio intercalare vuoto tra il tetto
ed il soffitto e che col passare degli anni utilizzato come deposito di
oggetti e materiale vario accumulati senza una particolare cura e
raggiungibile attraverso una piccola botola costruita alla meno peggio e
senza alcun criterio che potesse in qualche modo garantirne la sicurezza.
Un antico mobile con vari cassetti, un tavolo, un paio di comodini
e scatole, una infinità di scatole di latta e tutte ancora ben conservate e
in una di queste impressa la pubblicità della nota marca del lucido delle
scarpe, il famoso, si fa per dire, marchio Brill che ha accompagnato la vita
di molte persone in quegli anni del primo dopoguerra.
Eccola la scatola di latta, non più grande di un orologio da
taschino, rotonda e lucida con sopra impresso l’omino sorridente che
invitava all’acquisto “Brill lucido brillante immediato senza acidi”.
Un ritrovamento e un ritorno al passato quando usavamo chili di
lucido per le scarpe per non far vedere, più giusto dire per camuffare, che
le nostre scarpe erano vecchie e logore e che con quel lucido miracoloso
ritornavano in vita per la gioia soprattutto dei genitori che si
arrampicavano come potevano per ridurre al minimo povertà e sofferenze
diffuse. Stiamo ripercorrendo quegli anni 50/60, gli anni della
ricostruzione.
Scatole colme di ricordi: fotografie, lettere, diari e oggetti
d'infanzia, tutto era incustodito lassù e dimenticato per anni. Tante foto,
incrostate e impolverate dal tempo e dalla incuria “del sottoscritto” che le
aveva ora tra le mani, una di queste in bianco e nero ricordava un giorno
particolare, due giovani sposi, un matrimonio forse dei miei nonni, che non
ho mai conosciuto, dinanzi ad una casa vecchia a due piani, col muro
scrostato in più parti e su una strada sterrata, senza marciapiede e senza
un lampione, una lampada, un palo della luce.
Una foto risalente, immagino, alla prima metà del ventesimo secolo,
intorno al 1940, con tutti i parenti ed alcuni bambini, su quella strada in
via Aurelio Balzano, nella parte vecchia del paese, e che avrebbe meritato
ben altra conservazione.
La strada è la stessa a distanza di oltre 70 primavere trascorse ma
quel muro scrostato, quella strada priva di un qualche segno di modernità,
progresso è diventata ora, ogni volta che la ripercorro, una strada
inanimata, vuota, priva di un qualsiasi riferimento che potesse in qualche
modo ricondurmi a quel lontano passato. Persino gli abitanti, diversi in
tutto, dialetto, cultura, stile di vita etc, una strada abitata per pochi
giorni l’anno da turisti sconosciuti e maleducati che nulla hanno a che
vedere con quella infanzia che accompagnò la vita di un sacco di famiglie
ma, come si suol dire, il progresso vuole le sue vittime e con tanti
rimpianti ci adeguiamo in religioso e purtroppo rassegnato silenzio.
Quella strada che probabilmente ispirò il nostro Celentano a
scrivere quella bella poesia cantata sulla via Cluch, la strada non è la
stessa ma cosa importa, il messaggio che il nostro Adriano ha trasmesso alle
generazioni si adatta benissimo alla via Aurelio Balzano, si fa per dire,
anche se musicalmente parlando suona proprio malissimo.
Eccone un’altra, una foto di dimensione maggiore rispetto alla
precedente, incollata in più parti sul dorso di un libretto di appunti
illeggibili, la strada è la stessa, tanti parenti e amici immortalati
rigorosamente in bianco e nero davanti l’ingresso di quella che
probabilmente era una bottega di falegnameria con alcune assi di legno
appoggiate al muro e una enorme ruota di legno appena costruita. Una foto
non proprio bella, grigia, malinconica e persino i soggetti inquadrati
rigorosamente privi di un qualcosa che potesse in qualche modo accostarsi ad
un sorriso.
La soffitta riserva sempre sorprese e tesori nascosti, il
luogo ricco di ricordi e storie del nostro passato non solo attraverso
immagini e foto sbiadite ma anche tra gli oggetti che si usavano in quel
passato remoto come i vestiti, utensili da cucina, giocattoli e persino una
vecchia radio a valvole priva di manopole per la sintonizzazione, una vera e
propria reliquia della tecnica del secolo scorso, una “RCA” marchio
americano famoso per le sue radio a valvole e per quella tecnologia figlia
del nostro più celebre Marconi.
Ho provato successivamente a ridarle vita ma, a detta del
tecnico che l’ha “auscultata”, era priva di alcune valvole e l’ho
abbandonata al suo destino, assieme a tutta l’altra cianfrusaglia
inservibile, finita nella discarica comunale.....
Ma cosa c’entra Bartleby e la sua storia con i ricordi
riaffiorati nella mia soffitta? Cambiano i tempi e persino le situazioni,
troppo differenti a prima vista ma forse si intravede un legame, un
collegamento, che tiene comunque insieme sentimenti ed emozioni autentici e
che vengono a galla anche quando sembra tutto perduto.
Non ci troviamo in una soffitta qualsiasi, in una qualsiasi strada di
Castel di Sangro ma da tutt’altra parte, nella più ricca e opulenta New
York, nella Wall Street, nel cuore della finanza mondiale e più precisamente
all’interno di uno studio di un professionista, un avvocato, il quale,
oberato di lavoro, assume uno sconosciuto scrivano, appunto Bartleby il
quale lavora con competenza e precisione fino a quando, ad una richiesta del
suo datore di lavoro risponde con tre semplici parole… “ Preferirei di no…”.
L’avvocato ripete la sua richiesta pensando che lo scrivano
non avesse capito bene la domanda ma la risposta, anche in questo caso, è
sempre la stessa “Preferirei di no…”, e risulta del tutto inutile chiedere
spiegazioni o alzare la voce anche perché lo scrivano svolge egregiamente il
suo lavoro con dedizione e scrupolo. Insomma, inutile usare le maniere forti
perché è scontata la risposta, calma, tranquilla… “preferirei di no”.
Fino a quando, alcuni giorni dopo, l’avvocato, spazientito lo
licenzia, come era logico che accadesse ma…. Bartleby resiste e non molla il
suo posto di lavoro, anche senza stipendio e alla fine, ad andar via sarà
l’avvocato e i suoi dipendenti. Incredibile storia nella Wall Street
americana, la patria del profitto e della ubbidienza a tutti i costi a
regole rigide del mercato e della finanza, impossibile trasgredirle.
E’ la economia, la finanza, il danaro che dettano le regole, e
bisogna adeguarsi, senza colpi di testa, altrimenti si è destinati a
soccombere… eppure, in questo ambiente spunta, come per incanto, un uomo, un
piccolo uomo, un semplice scrivano che invece va controcorrente e incomincia
a ragionare con la propria testa e lo dimostra senza tanti giri di parole
con risposte decise, chiare, seppur con educazione e rispetto estremi.
Il nuovo inquilino, un altro avvocato che prende in affitto il
locale, si ritrova il Bartleby tra i piedi e che continua a lavorare come se
nulla fosse accaduto e alle reiterate proteste che gli rivolgono sia il
nuovo inquilino che il proprietario dell’immobile, lo scrivano Bartleby non
trova niente di meglio che rispondere nel solo modo che conosce e
cioè….“Preferirei di no…” e lo fa come suo solito, con garbo, gentilezza e,
come si suol dire, con umiltà al limite della sopportazione. Come andrà a
finire questa storia?
Lo scrivano Bartleby, l’indefesso Bartleby, lo stakanovista del lavoro,
la persona più educata e gentile in una New York che non ammette
disattenzioni o colpi di testa, laddove il Dio danaro si annida in ogni
anfratto in ogni angolo della nostra esistenza, ebbene il nostro Bartleby
finirà i suoi giorni all’interno di una prigione, abbandonato da tutti e
nella miseria più assoluta.
Ma che razza di storia è mai questa? Una triste storia che
riguarda l’essere più imprevedibile dell’universo l’uomo, perché in quella
prodigiosa macchina per fare soldi che riguarda il capitale quindi il
profitto, dove tutto è perfetto e tutti sono utili soltanto se si mettono a
disposizione e proni verso il Dio danaro, ebbene ecco che ogni tanto il
meccanismo s’inceppa, qualcosa smette di funzionare e accade l’imprevisto.
E' un uomo, non una macchina, che blocca, seppur per poco tempo
quel meccanismo, lo rallenta e crea scompiglio, imprevisto e per questo
pericoloso. Bisogna subito porvi rimedio.
E’ l’uomo, una scheggia impazzita, che crea imbarazzo, come
Bartleby, ma che è destinato ad una fine silenziosa perché è un mondo,
questo della finanza, che ama e muove persone vuote, senza vizi, piatte che
compiono sempre il loro dovere senza colpi di testa. E chi rifiuta queste
regole, seppur non scritte e “ preferisce di no”…. è destinato
inevitabilmente a soccombere.
Non esistono particolari ragioni per cui questo scrivano si
comporti sempre così, forse non esistono proprio, ma Bartleby è un uomo e
per questo imprevedibile….si comporta nella maniera più semplice, nella
normalità, la stessa normalità che l’uomo riscopre, al diavolo la
grammatica, nell’apprezzare le cose semplici, quelle che avevamo dimenticato
e ritrovato in soffitta o in qualsiasi altro luogo e che nel rivederle
suscitano in noi emozioni e sensazioni più comuni. Che sia un quaderno a
quadretti, ritrovato in soffitta, una foto, un libro delle elementari poco
importa, perché la nostalgia, le emozioni etc fanno parte della sensibilità
umana che, a differenza di quel mondo della economia globale, senza vizi,
piatto e stracolmo di regole e di divieti, appartengono all’uomo.
Bartleby ha fatto la cosa più semplice possibile, ha sfidato tutti
perché ha sempre ragionato non con la testa degli altri, ma solo con la sua.
Alla fine, purtroppo, ha perso.
Questo mondo l’abbiamo creato noi, bisogna seguire sempre le regole e senza
colpi di testa altrimenti è la fine, perciò abbandoniamo i ricordi, le
nostalgie, le emozioni e dedichiamoci succubi e proni alla ubbidienza
silenziosa e rassegnata. Bye.
(bv)
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