|
A qualcuno di noi
sarà senza dubbio venuto in mente, almeno una volta nella vita di
scoprire chi fossero i propri avi e di solito il primo impatto con
una ricerca di questo tipo si ha alle bancarelle delle fiere paesane
dove fornendo il proprio cognome al gestore, con un semplice click
del mouse, appare sullo schermo, come per incanto, la storia della
propria famiglia, scoprendo sempre titoli tra duchi, marchesi e
stemmi nobiliari che nemmeno immaginavamo, dato che i nonni nella
maggior parte dei casi venivano da umili origini.... e tutto questo
in cambio di una piccolissima spesa, ovviamente sprecata,
quand’anche qualcuno si accontenti di soluzioni strampalate e
fantasiose, per non dire truffaldine, ma c’è chi si accontenta
soltanto per soddisfare la propria curiosità ed il tutto condito con
il rilascio di una pergamena con tanto di stemma incorniciato, come
si conviene ad un casato che si rispetti.
La ricerca delle proprie origine, in realtà, è una cosa troppo seria e
merita attenzione e credibilità estreme perché le notizie raccolte
si basano, per meglio dire dovrebbero basarsi, su fatti avvenuti in
passato con tanto di credibilità avvalorata da prove certe
altrimenti non ci discosteremmo molto da quelle prove raccolte alle
fiere paesane e alle bancarelle tra noccioline tostate, antiche
riviste impolverate e l’immancabile banda musicale.
Occorrono anni e ne sono passati tanti. Saranno stati una decina persi,
per modo di dire, a raccogliere notizie tra vecchi documenti, foto
sbiadite nell’album di famiglia e alle tante domande rivolte a
persone, molto in avanti con l’età, che in qualche modo ricordavano
particolari e aneddoti interessanti ed in base ai quali ho potuto
ricostruire un mosaico di una vita trascorsa tanto tempo fa.
Mi mancano alcuni dettagli relativi a date di nascita,
morte, matrimoni etc per completare una ricerca estenuante e
difficile perché più delle volte le notizie che raccoglievo andavano
verificate e confermate e quale migliore occasione avrei ora per
completare la mia ricerca se non quella di fare un salto in Comune
in archivio?
La giornata non nasce proprio all’insegna del buonumore, l’auto non
ne vuol sapere di mettersi in moto e devo farmela a piedi ma è
primavera inoltrata, il tempo promette bene e ne approfitto per fare
quel salto in Comune come avevo previsto, piccoli dettagli che
dovrei raccogliere nell’archivio comunale poiché lassù, su quell’ultimo
piano, sono riposti e conservati tutte le notizie dei nostri avi e
confido nella disponibilità e pazienza dell’impiegata che conosco e
certamente mi darà una mano.
Abbandono l’idea di fare qualche altro tentativo con l’auto, una
vecchia fiat Panda, non ne vale la pena, la batteria ha a malapena
la forza di tenermi acceso il quadro luminoso, non posso pretendere
oltre, la rottamerò, dopo una ventina d’anni di vita vissuta senza
avermi mai lasciato a piedi. Se potessi in qualche modo ringraziarla
lo farei ma mi limiterò solo a spogliarla, la batteria, i tappetini,
il ruotino di scorta e pure il portachiavi, un dono ricevuto da un
amico qualche anno fa e dopo, addio e grazie.
La mattinata è bellissima attorno a me c’è verde dappertutto,
simbolo inequivocabile della primavera, è ancora presto per cui non
punto dritto verso il centro ma decido di allungare il percorso e
assaporare il gusto di una passeggiata piacevole e silenziosa lungo
le sponde del fiume in armonia con la natura.
Il tratto non è lungo, un paio di chilometri lungo la sponda
sinistra del fiume Sangro, invitante e silenzioso, di acqua ce n’è
poca ma non per questo il nostro fiume sia meno attraente, c’è molto
da osservare, il grande Leonardo, in quel di Vinci, ne studiava i
movimenti dell’acqua, la dinamica dei fluidi, dei mulinelli, vortici
etc ma io, che non ho nulla a che vedere col toscano rinascimentale
men che meno con la scienza e lo studio delle acque, mi limito ad
osservare quel breve tratto e ricordare quando quel fiume scorreva
più a ridosso della montagna laddove tanti anni fa, andavamo a fare
il bagno tutte le domeniche mattina, quando la portata dell’acqua lo
consentiva.
Episodi marginali di poco conto di vita vissuta intorno a questo
fiume che ci ricorda ben altre storie più importanti del passato più
lontano ancora, riferite all’ultimo conflitto mondiale che intorno
al Sangro si sono consumate. Storie di uomini in conflitto fra loro,
come purtroppo avviene dalla notte dei tempi.
Un uomo mi viene incontro a passo spedito indossa una tutta ginnica
ed un berretto della Nike, non lo conosco ci salutiamo si ferma per
un istante a riprendere fiato e poco dopo riprende la sua camminata
su quella stradina nuova appena costruita, un vero e proprio
gioiello, l’ideale per una passeggiata soprattutto con la famiglia.
Riprendo a curiosare il fiume, sull’altra sponda un
paio di rami si intrecciano in acqua formando una piccola barriera,
un pescatore intento a sistemare l’esca mi riconosce e, con un cenno
della mano, mi saluta da lontano, indossa un paio di stivaloni, un
giubbotto verde con alcuni ami appuntati sulle tasche ed un
cappellino dello stesso colore.
Sullo sfondo, oltre a numerosi alberi, si intravede un ponticello
in cemento, unica nota stonata tra tanti colori vivaci, dal verde
all’azzurro, dal rosa dei fiori al bianco dei cigni che proprio in
prossimità della confluenza con la Zittola nuotano indisturbati
forse in cerca di cibo.
E' un paesaggio allegro, calmo e rilassante per una passeggiata
invitante su quella pista pedonale da poco costruita, diventata meta
obbligata per chi pratica lo sport all’aria aperta e ama la quiete
lontano dai motori, purtroppo è una meta anche per chi con lo sport
e con l’aria aperta ha ben poco a che vedere e si comporta
dimenticando quelle regole di buonsenso e soprattutto di rispetto
verso gli altri.
Dopo una breve passeggiata, saranno trascorsi una trentina di
minuti, abbandono quel tratto da poco costruito e immerso nella
natura per tornare tra le auto, le case, il rumore provocato
dall’uomo e dalle sue progredite ricerche ma prima di infilarmi nel
caos tra le auto ed i rumori della civiltà, mi fermo un attimo a
riposare su una panchina in prossimità di quel monumento, una
scultura
raffigurante un pescatore nell’intento di catturare una trota che da
queste nostre parti sono una vera prelibatezza. Il fiume Sangro, una
vera e propria palestra per gli amanti della pesca a mosca
quand’anche io, da novello e modesto pescatore, preferisca la pesca
col cosiddetto “cucchiaino”, un’esca metallica che somiglia proprio
ad un cucchiaino da cucina e che, una volta lanciato in acqua
riflette e attira all’amo la trota.
Questo genere di pesca la preferisco perché, a differenza di quella
a mosca, ove non serve una particolare abilità se non quella del
lancio, la pesca al cucchiaino invece ti fa penare e spesso ti fa
perdere la pazienza perché il più delle volte quel
“maledetto”cucchiaino rimane impigliato tra i rami e anche tra i
sassi sotto il pelo dell’acqua ed il più delle volte non si riesce a
recuperare considerato anche che costa anche un tantino troppo e ad
ogni lancio il sottoscritto ha il timore di buttare all’acqua
l’equivalente di tre euro.
La stanchezza fa brutti scherzi ad una certa età, mi distendo un
attimo su una panchina, il tempo strettamente necessario per
rifiatare, si dice così, e quando li riapro………. mi appare un altro
paesaggio, lungo la sponda destra del fiume Zittola laggiù in
lontananza si intravedono alcune capanne di legno e una serie di
mulini in pietra, ne scorgo tre e tutti in funzione, l’acqua del
fiume è il propellente, la benzina per la ruota che muove gli
ingranaggi per la macina del grano. Mi ritrovo catapultato indietro
nel tempo, agli inizi del 900.
Non esistono auto, non c’è corrente elettrica non vedo clienti in
attesa col telefonino e non c’è quella ressa di persone sempre
incazzate in attesa del proprio turno come quando siamo costretti a
fare davanti alla farmacia al comune oppure alla posta, qui nessuno
ha fretta, si discute di pane, farina, legna da ardere e di animali
da soma, cavalli, muli e dei problemi per tirare a campare tra tanta
miseria e poche pretese.
Non si lamenta nessuno, tutti indaffarati tra quei sacchi ricolmi
di farina, una fila lunghissima di persone educate ad un silenzio
rispettoso e garbato e tra quei clienti in attesa non ci sono
impiegati di banca, avvocati, magistrati, notai, medici etc e
neanche impiegati delle Poste tantomeno delle ferrovie e neanche
dipendenti dell’ospedale.
Sono i primi anni del novecento, militari,
tanti militari intorno a quei mulini a controllare quei sacchi di
farina e scorte da immagazzinare per l’imminente conflitto di quella
che si appresta ad essere, purtroppo, la prima guerra mondiale,
quella grande guerra che ci costò tante perdite e che avremmo dovuto
e potuto evitare ma quei mulini, sulla sponda destra del fiume, non
esistono o per meglio dire sono spariti ma esistevano tanti anni fa
e molto prima della guerra.
Mi ero appisolato, un breve passo indietro nel tempo e rieccomi
sveglio su quella panchina, non c’è anima viva intorno, un ponte in
pietra e poco distante mi incuriosisce un cumulo di sterpaglie a
ridosso della montagna, un boschetto all’inizio della stradina di
sterrato che porta al cimitero, mi avvicino e, scostando rovi,
ortiche e rami penzolanti, mi imbatto in quello che una volta,
immagino, fosse un fabbricato ed ora inghiottito da rovi e
sterpaglie varie.
Tra quelle mura, qualche secolo fa, si viveva un’altra vita,
incuriosito mi avvicino, mi faccio largo scostando ortiche, rovi e
rami e davanti a quello che una volta era forse un muro, un recinto
in pietra all’interno del quale c’era un giardino, forse un orto che
i monaci o le monache curavano, un muro in pietra con l’intonaco
scrostato e con impressa una scritta appena leggibile…. “Hospitia
erat religiosorum” che, per quanto ignori la lingua latina, dovrebbe
avere a che fare con un ospizio di religiosi.
Possibile mai, mi chiedo, che di questo monastero a Castel di Sangro non
ne conosca l’esistenza nessuno? La crème, la cultura castellana così
attenta ai fasti e alla storia antica del nostro paese, possibile
mai non abbia mai avuto cognizione di una così importante prova
d’arte e di storia?
E’ancora presto, non mi vede nessuno e non abbandono quella mia
scoperta, in effetti da quelle parti ci passo spesso per raggiungere
a piedi il cimitero, ed è veramente difficile riuscire anche solo ad
immaginare che lì dentro, oltre quel boschetto, si celasse un
vecchio monastero francescano.
L’abbigliamento non è proprio l’ideale per infilarmi in quella
boscaglia, scarpe leggere sportive della Diadora acquistate a prezzo
stracciato da Dante in via Sangro che, per chi non fosse pratico di
Castello, basterebbe seguire le indicazioni dei cartelloni
pubblicitari posti in ogni angolo delle strade principali, con la
dicitura invitante all’acquisto: “ …da Dante, i prezzi più bassi
d’Italia”, che secondo me non corrisponde al vero perché i prezzi
saranno anche bassi, non più degli altri, ma per quanto riguarda la
qualità quelle scarpe lasciano molto a desiderare.
Insomma un paio di scarpe marroncino chiaro a cinquanta euro,
jeans primaverile acquistato al mercato del giovedì mattina e un
maglioncino girocollo celestino della Coveri che comprai tempo
addietro in un negozio in via Corso Umberto e che qualche giorno più
tardi, purtroppo, chiuse con la stessa velocità con cui aprì non
molto tempo prima, nella indifferenza generale dei Castellani
abituati ormai a vedere apparire e sparire come per incanto attività
commerciali destinate all'oblio, al fallimento.
Un abbigliamento non proprio adatto ma… la curiosità è troppa e
facendo mio quel vecchio detto “ La curiosità è la più preziosa
compagna di vita”, mi adeguo e mi incammino verso quel sentiero tra
foglie spinose del biancospino e del prugnolo selvatico, un arbusto
spinoso che fruttifica soltanto in autunno, dal sapore aspro che
diventa più dolce solo in inverno e alle prime gelate. Per gli
amanti delle confetture e ricette si può preparare un buon liquare
digestivo con alcool, zucchero, vino bianco e frutti o bacche di
prugnolo maturo e con la distillazione invece, per i più esperti, si
ottiene dell’ottima acquavite.
Una ventina di passi in quel bosco mi separano da quello che
dovrebbe essere l’ingresso dell’Ospizio preceduto da un portale, un
arco in pietra in parte crollato indicante sul frontale della chiave
di volta, una dicitura in rilievo… “Anno Domini MDCXXVIII”, era il
1628.
Mi ritrovo all’interno del diciassettesimo secolo e
questo capolavoro di storia e d’arte è rimasto sepolto sotto una
montagna di terra ed erbacce varie per così tanto tempo, ma appena
oltre quell'ingresso c'è da restare a bocca aperta per questa
meraviglia del passato. Una piccola chiesa, una cappella dove presumibilmente i
monaci si riunivano tutti in
preghiera.
Non ancora compromessi dall’umidità gli affreschi sulle
pareti laterali e persino sul soffitto a botte, spiccava al centro,
maestoso, il “Giudizio universale” ed in fondo, su quello che
sembrava essere un altare, un affresco di piccole dimensioni
raffigurante “L’ultima cena”, niente a che vedere con quella
rappresentata dietro l’altare della nostra chiesa Madre… che
considero, quand’anche non abbia nessuna competenza a riguardo, un
capolavoro di raffinata bellezza, quell’opera del De Matteis, un
pittore del 600 che, non sfigurerebbe affatto con la più famosa Cena
leonardesca.
Una bassa e stretta apertura laterale, appena oltre l’altare, la
raggiungo con tanta ansia mista a paura e mi ritrovo in quello che
dovrebbe essere stato il refettorio dove mangiavano i religiosi e
gli ospitanti. Un ampio salone con il soffitto in parte crollato ed
in parte pericolosamente in bilico con calcinacci e travi ovunque
sparsi sul pavimento sottostante. La prima impressione che ho
avvertito è stata quella di essermi trovato di fronte alle rovine
appena dopo una forte scossa di terremoto.
Un tenue raggio di luce illumina un’apertura oltre quel mucchio di
detriti, ma attraversare quel luogo non è semplice poiché
l’oscurità, la muffa e l’umidità, per non parlare della paura, si
avvertono prim’ancora di entrare.
Mi infilo comunque in quella strettoia laterale che dava
all’aperto, finalmente, un piccolo giardino dove al centro troneggia
un fontanile o qualcosa di simile e da un lato una piccola
costruzione in pietra, ancora intatta, forse un ripostiglio, un
deposito che i frati utilizzavano per gli attrezzi per coltivare il
terreno adiacente il monastero.
L’impressione è che quei religiosi, a suo tempo, avessero costruito
quel monastero col preciso intento di non essere visti e continuare
a vivere in assoluto e silenzioso raccoglimento. A ben pensare, se
la memoria non mi abbandona, era quello il periodo storico delle
grandi scoperte, il nostro grande Galileo per aver messo in
discussione quelle “certezze” della Chiesa, e sto parlando delle
leggi Tolemaiche etc, stava per finire al rogo come Giordano Bruno e
solo per aver scoperto che non era il sole a girare intorno alla
terra ma il contrario.
Era il 1630 ed è molto probabile che quei monaci fossero all’oscuro
di tutto ciò che accadeva oltre quelle mura. Si è fatto tardi e
nell’attimo in cui decido di rientrare e ripercorrere quindi il
percorso inverso, mi incuriosisce, in fondo ad un corridoio, un
ripiano, forse una scrivania, sulla quale oltre alla polvere e
calcinacci c’era un involucro, un pacco, un rotolo impolverato,
quello che credevo fosse in un primo momento un mattone o qualcosa
del genere, in realtà si trattava di un libro, un registro dove
venivano riportati con meticolosa precisione alcuni lavori, una
sorta di libro contabile con tanto di ordinativi, costi e fatture
varie.
Dai disegni raffigurati in quel registro si capiva che in quel
monastero i monaci avevano messo in piedi una vera e propria
tipografia con tanto di macchinari per
la stampa, archivi e materiale accatastato in attesa di essere
distribuito.
Ai giorni nostri una simile attività di stampa e per giunta nel
segreto di uno scantinato, sarebbe passata per una attività illecita
e degna, per modo di dire, di essere sbattuta in prima pagina su
tutti i giornali come fosse una cellula di chissà quale
organizzazione terroristica volta a sovvertire l’ordine costituito
dello Stato, ma siamo all’interno di un monastero del
diciassettesimo secolo dove i fraticelli per tirare a campare si
arrangiavano come potevano.
Ma si è fatto tardi e questo fuori programma non era previsto, la
mattinata da dedicare alla mia ricerca in Comune all’archivio è
andata a farsi benedire e la funzionaria del Comune, la signora
Maria sempre gentile e disponibile, mi perdonerà se rimando di
qualche giorno quell’impegno preso qualche giorno prima....
Quella breve avventura all’interno di quegli
anfratti, tra mura crollate e soffitti pericolanti stava per finire
e iniziava a farsi largo l’idea di rientrare a casa e magari
ritornare qualche altro giorno con un abbigliamento più adatto e con
più tempo a disposizione perché presumo ci sia ancora molto da
scoprire tra quelle mura.
Mi ritrovo di nuovo all’esterno su quella panchina, finalmente a
respirare a pieni polmoni aria fresca e soprattutto a rivedere
qualche anima viva. All’improvviso accade un evento strano che, a
dire il vero mi è già capitato altre volte, un evento inspiegabile,
innaturale.
Premetto che spesso mi capita di essere un involontario
protagonista di viaggi al limite del normale, quand’anche non creda
alle schiocchezze che si raccontano sugli astri, stelle e oroscopi
annessi, in pratica mi ritrovo di punto in bianco a viaggiare o per
meglio dire, ad avvertire la sensazione di viaggiare e nel momento
in cui tutto avviene molto in fretta inizio a “galleggiare” in aria
e lassù dall’alto ad osservare tutto ciò che accade di sotto e la
cosa davvero sensazionale stava accadendo proprio in quel momento.
Sarà stata la stanchezza o qualcos'altro di quell’avventura tra i ruderi
di quel monastero, fatto sta che sono crollato in un sonno profondo e mi
sono ritrovato in uno stato confusionale tale da avere avvertito quella
sensazione di volare.
Sdraiato su quella panchina, sempre quella, ho iniziato a
“lievitare” e volare prima in orizzontale e poi, via via che la
velocità aumentava, in verticale come fossi un alieno, un uomo
dotato di poteri sovrannaturali, rasentando case , vicoli e palazzi,
come cantava Riccardo Cocciante nella sua Margherita, con una velocità sempre maggiore
fino a quando qualcuno da basso mi ha sparato colpendomi alla
spalla.
In quel momento ho iniziato a sanguinare e la mia avventura
aerea ha preso un’altra piega perché sono schizzato ancora più in
alto ad una velocità supersonica, forse ho persino superato la
velocità della luce, fino a bucare qualcosa in alto, nello spazio
più profondo. Tutto molto strano, difficile da spiegare, vedevo
nuvole dappertutto, di un bianco ovattato intangibile in un silenzio
mai “ascoltato” prima.
Le mani cercavano in qualche modo di
afferrare qualcosa di solido, animato, un frammento di un qualche
pianeta, di una navicella aliena, una cometa interstellare,un
asteroide o qualcosa di simile, ma invano tutto era inconsistente,
intoccabile e tra le altre cose avevo sempre la spalla che
sanguinava copiosamente.
Mentre la toccavo, nel vano tentativo di alleviare il dolore, e
sempre alla velocità della luce, mi appare all’improvviso come per
incanto una immagine nitida, chiara, come se avessi di fronte uno
schermo, un televisore o un qualcosa di visivo animato da un qualche
proiettore nascosto da qualche parte e quell’immagine che vedevo non
aveva nulla a che fare con “Scherzi a parte” perché ho pensato anche
a quello ma su quello schermo apparivano per davvero delle immagini
a me conosciute….
Non
del tutto chiare, ma man mano che le nuvole si diradavano apparivano
sempre più vicine quasi a toccare quello schermo, non erano alieni
di un qualche pianeta ma, uomini del pianeta Terra.
Cosa mai facessero da quelle parti degli uomini terrestri miei simili,
incappucciati e tutti intorno ad una catasta di detriti, calcinacci
e pezzi di travi crollate dal soffitto? Era il soffitto di quel
refettorio dove i monaci consumavano i loro miseri pasti in quel
lontano diciassettesimo secolo. Rivedevo dall’alto, da quello
schermo, il monastero e quei monaci sopravvissuti tanto tempo fa, la
stamperia, il portale d’ingresso, il manoscritto, il fontanile,
l’orto e quei monaci che ora osservavano immobili ed in silenzio
quel corpo esanime di un uomo con una profonda ferita alla spalla
sinistra ed intorno ad una pozza di sangue. Sangue nero,
raffermo, puzzolente e intriso di morte.
Mi avvicino a quello schermo come se avessi tra le mani un
telecomando con il tasto rewind, per tornare indietro e rivedere un
film già visto. Incuriosito da quelle immagini, da quei francescani
incappucciati, intorno a quel corpo senza vita. Mi avvicino, come se
stessi ingrandendo quelle immagini, una zummata dall’alto e quel
corpo appare, chiaro, nitido, senza sgranature, sembra quasi di
conoscerlo.
Aveva le scarpe della Diadora, indossava un maglioncino
celeste della Coveri ed un paio jeans consunti e strappati in più
punti. Cazzarola…. ero io, e mi era crollato sulla testa il soffitto
di quel refettorio. Un crollo provocato da quel terribile terremoto che accadde in quel
lontano 3 Novembre del 1706. Un terremoto vero, di magnitudine 7,
con epicentro la Maiella e che fece danni incalcolabili provocando
oltre duemila vittime lungo il confine tra l’Abruzzo e Molise. Quel
monastero in pietra costruito quasi un secolo prima ai piedi dell’Aremogna
resse l’urto violento di quell’evento e riportò soltanto lievi danni
alla intera struttura. A parte quel crollo all’interno del
refettorio che fece una sola vittima, cioè... io.
Ma, ritornando alle cose terrene ed alle nostre certezze, possiamo riflettere e interrogarci come mai ognuno di
noi quel viaggio lo effettua sempre e senza rendersene conto, non
nello spazio stellare alla velocità della luce ma alla ricerca delle
proprie origini, anche quando la modernità ed il progresso corrono
così velocemente.
I ricordi, quelli della nostra vita, dei nostri genitori, delle
nostre origini, esistono e da quelli nessuno riesce a sfuggire.
p.s.
.... una storia inventata di sana pianta che non ha nessun
fine, nessuna pretesa. Se poi, qualcuno riesce a coglierci uno
spunto di riflessione, tanto di guadagnato, ne è valsa la pena
averla raccontata. (bv)
|